martedì 22 gennaio 2013

La Santería a Cuba

Al  sorgere  del  sole,     all’inizio  delle  notti  di  luna  piena,  quale uomo  dall’ Africa all'Australia, dall’Europa  alle Americhe,  nel corso dei secoli, non  si è  posto   l’interrogazione  del perché dopo l’oscurità ritorna la luce, dopo il temporale il sereno, dopo la primavera l’estate e poi l’autunno in un sincronismo di eventi quasi magici. Ed ancora sugli uomini che l’hanno preceduto e su coloro che  vivranno dopo, del perché  l’acqua del mare sale al cielo per poi sgorgare  fresca e  purificata dalle falde del monte.
C’è poi l’arcano delle foreste e degli oceani, l’origine degli animali che vivono  su questa nostra madre terra e delle piante, la bellezza del seme che germoglia, l’utilità del frumento trasformato in farina. La morte che sopravviene. Il perché della vita.
E se mai un’altra esistenza ci sarà riservata, ecco che il figlio, stante accanto al corpo del proprio padre defunto, depone nella bara il vestito bianco che era stato indossato dal genitore quando, pressoché giovinetto, aveva ricevuto il “santo”, perché si presenti, secondo la tradizione, alle divinità in cui aveva creduto.
Vestirsi di bianco è una consuetudine della Santería, conosciuta anche come Regla de Ocha, liturgia che unifica i diversi riti della più importante religione africana che esiste a Cuba.
Per uno straniero è abbastanza difficile comprendere a pieno questo “sincretismo”, vale a dire il processo di mescolanza tra la religione d’origine africana e la religione cattolica importata dagli spagnoli.
A tale proposito, va annotato che importanti personaggi della cultura cubana si sono dedicati allo studio della Santería: Fernando Órtiz, Lydia Cabrera, Alejo Carpentier, Rómulo Lachatañeré, Rogelio Martínez Furé, Miguel Barnet.
Sostanzialmente bisogna risalire da dove trae le sue origini: dall’Africa equatoriale, e più precisamente dalla regione compresa tra l’antico regno di Dahomey , Togo, Benin ed il sud ovest della Nigeria dove vissero molte tribù che avevano come “idioma” lo yoruba.
Queste tribù condividevano abitudini, tratti culturali e credenze religiose, specialmente quelle per gli orishas (dei tutelari di ogni gruppo), quantunque non esisteva una uniformità di culto per identità degli orishas: divinità che occupano nel territorio yoruba posizioni dominanti in un luogo magari sono totalmente sconosciuti in altri posti.
Tuttavia la trilogia superiore riconosciuta è la seguente: Olofi – Olodduhare – Olorun.
E nella pietra (otá) risiedono gli attributi magici del potere.
Con la tratta degli schiavi a Cuba, migliaia facenti parte di queste tribù africane, non volendo assolutamente abbandonare i propri culti religiosi come invece sarebbe stato il desiderio dei loro padroni cattolici, identificarono gli orishas con i santi ed altre figure religiose per l’appunto del cattolicesimo.
L’evento più importante per i cubani seguaci della Santería è il rituale durante  il quale  l’orisha, che è forma pura ed immateriale, dotato di particolare potere  (aché) si rende percepibile incorporandosi solamente in un astante prescelto chiamato elegún, essere “montado”( gún).
A Cuba questa religione è molto legata alla figura della famiglia (vivi e defunti) ed ampliata ad una fratellanza religiosa (padrino – madrina) che va oltre il grado di parentela e la consanguineità, dove comunque esiste una omogeneità nella forma di culto che si dice linea de santo.
Olofi è l’onnipotente, colui che dopo la creazione del mondo decise di ritirarsi a  vivere lontano, dietro il sole, chiamato Olorun, lasciando come suo rappresentante Obbatalá.
Changó (Santa Barbara) è il più popolare degli orishas. Domina i lampi, i tuoni ed il fuoco, i tamburi e la danza. Divinità guerriera dal temperamento astuto, molto irascibile. Personificazione stessa della virilità, dal carattere focoso e dalla volontà ferrea, è appassionato di tutti i piaceri terreni. Si accompagna sempre ad Elegguá, di cui si dice sono ocanani, cioè “fatti di un solo cuore”, inseparabili. Changó trova la sua rappresentazione più evidente nella caduta di un fulmine. In onore della sua grandezza, ogni  volta  che viene  menzionato i  fedeli si sollevano sulle punte dei piedi o si alzano se stanno seduti. La sua casa è un castello fortificato. Il rosso ed il bianco i suoi colori, i numeri il quattro ed il sei. I suoi simboli sono strumenti guerrieri.
Babulú Ayé (San Lazzaro) è uno degli orishas più invocati. Protegge dalla lebbra e dalle malattie del corpo, dalle epidemie e dalle menomazioni. La sua raffigurazione è quella di un mendicante storpio, coperto di piaghe, vestito solo di un poverissimo indumento bianco. Aiuta chi soffre, ed è colui al quale tutti chiedono la grazia della guarigione e aiuto negli stati di malessere fisico, avendo problemi di salute propria o di persone care. Il suo colore è il bianco.
Elegguá (San Antonio da Padova) è colui che presiede ad ogni cammino e ad ogni porta sul mondo. Elegguá è depositario dell’ aché, ovvero del potere  spirituale. Ha per colori il rosso ed il nero, simboli degli opposti. A metà strada tra gli esseri umani e gli esseri divini, viene personificato in un bambino, messaggero capriccioso ma anche ingenuo tra questi due mondi: il terreno ed il divino. E proprio per questo suo ruolo di intermediario tra uomini e divinità ha una stretta relazione con Orula.  In tutti i rituali della Santería a lui è dedicata la prima offerta sacrificale, poiché apre ogni sentiero e decide se liberare la strada verso il raggiungimento di un obiettivo o costellarla di ostacoli e difficoltà. I suoi numeri sono il tre ed il ventuno.
Obbatalá (Virgen de las Mercedes) è il padre benevolo di tutti gli orishas e dell’umanità. Presiede alla testa ed alla mente degli esseri umani. Olofi creò l’Universo, ma diede a Obbatalá il compito di organizzare il mondo e di creare l’umanità. Colore dominante è il bianco, a volte mescolato al rosso, al marrone od altri che stanno a rappresentare i suoi diversi cammini.
Yemayá (Virgen de Regla, negra como el azabache), questa dea vive e domina nei mari e nei grandi laghi. Signora della maternità è considerata per l’appunto come la grande madre universale.
Il suo nome è l’abbreviazione di Yeye Omo Eja, ovvero la madre dei pesci. E’ fonte di tutte le ricchezze che condivide con la sua sorella minore Ochún. Veste con sette sottane azzurre e bianche. Indossa gioielli d’argento e di corallo.
Ochún (Virgen de la Caridad del Cobre, patrona dell’Isola) è la regina delle acque dolci, dei torrenti, di tutti i corsi d’acqua e dei laghi. Personifica l’amore e la fecondità. Risolve anche problemi di carattere economico. E’ la più giovane delle divinità femminili e malgrado questo ha il titolo di iyalode, vale a dire  regina, ed è la seduttrice degli orishas.  Il suo colore è il giallo oro, il suo numero il cinque. A lei appartengono i pavoni reali ed altri uccelli dal piumaggio colorato. Il suo fiore preferito è il girasole.
Orula (San Francesco d’Assisi), colui che prevede il futuro, eletto tutore della sapienza e della divinazione.  E’ l’unico al quale Olofi permise di essere testimone della creazione dell’Universo. Ora continua ad essere testimone del percorso e dei destini degli esseri umani. I suoi colori sono il verde ed il giallo.
Oggún è il dio del ferro, della guerra, del lavoro manuale. Presiede a tutto ciò che implica tecnica e costruzione tecnologica, sempre però con fine bellico. Spiana la strada a colpi di macete. Viene rappresentato come una divinità costantemente presa dal lavoro manuale e dal lavoro pesante. Personalità schiva, vive lontano dalle folle, nei boschi, sulle montagne. Ha il verde ed il nero per colori preferiti, il sette come numero.
Ochosi è il terzo membro del gruppo di orishas denominato guerreros. Ai suoi iniziati offre a protezione la sua freccia giustizialista. E’ un cacciatore che insegue le sue prede anche attraverso territori sconosciuti ed impervi. Ha il ruolo di intermediario ed interprete di Obbatalá, con il quale è in stretta relazione. Blu e giallo i suoi colori, un gallo la sua rappresentazione.
Osaín è il medico degli orishas, colui che conosce perfettamente le virtù curative di ogni elemento naturale, erbe, alberi, minerali. Vive in ogni luogo, in un piccolo bicchiere d’acqua come in un bosco infinito. Prima di ogni cerimonia propria della Regla de Ocha dove sono utilizzati piccole piante e rami d’albero, scelti accuratamente in funzione delle loro
 proprietà, è d’obbligo chiedere il permesso ad Osaín per addentrarsi nei boschi od in altri luoghi a raccogliere uno qualsiasi di questi elementi. Solitamente la persona che esegue queste operazioni, regolate da rigorose norme comportamentali, è uno specialista che ne curerà anche la vendita. Si chiama yerbero, figura tradizionale ancora molto diffusa.
Altre divinità alle quali rendono culto i cubani: Oyá, Oba, Orisha Oke, Naná Burukú, gli jimaguas Ibbeyi che proteggono i bambini, Inle, Aggayú Solá, Yegguá.
La Regla de Ocha, che come accennavo in apertura unifica i diversi riti yoruba in una unica liturgia, venne proposta alla fine del XIX secolo dal babalao Lorenzo Samá.
Babalao, che letteralmente significa padre dei segreti, è il sacerdote di Orula. Questa categoria sacerdotale è rappresentata solamente da uomini. Ed il predestinato potrà ricoprire questo incarico quando il babalao che lo ha formato ne ha la convinzione.
Esiste poi la Regla de Ifá che si deve al babalao Eulogio Gutierrez, ed è l’arte magica usata dalla Santería per predire il futuro attraverso la manipolazione della tavola di Ifá o di Orula. Le norme stabiliscono che il rituale venga compiuto da un sacerdote di Orula. Ciò nonostante i santeros (che possono essere uomini o donne) praticano la predizione del futuro quando il santo che hanno ricevuto in affidamento li autorizza. In questo caso la predizione la realizza o lo stesso orisha che si impossessa del santero (chiamato anche babalocha o iyalocha) o lo spirito di una persona morta che ritorna, assume corporeità nel santero e parla attraverso di lui al diretto interessato.
Ifá è la massima capacità divinatoria della Regla de Ocha. Si tratta di un campo estremamente esoterico e basato essenzialmente sull’abbinamento di numeri e di leggende da cui il babalao è in grado di trarre previsioni ed avvertimenti. Gli strumenti di lettura sono l’ékuele (detta anche cadeneta), collana fatta di otto gusci di lumaca o di noce di cocco, ed il tablero, che rappresenta il mondo ed i punti cardinali, sul quale viene sparsa una polvere bianca e lanciati una manciata di semi.
La Santería, detta anche brujeria, ovviamente ha un carattere prammatico ed i suoi affiliati cercano di risolvere le esigenze spirituali e materiali per suo tramite.
Nelle cerimonie religiose “animali” e “vegetali” sono messi in relazione con gli dei. Si tratta soprattutto di tuberi, pollame e montoni. Agli orishas vengono anche offerte bevande ed alimenti delle “feste”. Sugli altari “casalinghi”, dove ci sono i simulacri del santo, si vedono spesso contenitori di liquidi, candele, giocattoli, caramelle ed altri oggetti vari. Il sacrificio degli animali, sempre secondo la tradizione, è utile per cambiare in meglio la sorte e la vita degli esseri umani.
Altre due importanti religioni africane sopravvivono a Cuba: la Regla de Palo o Mayombe ( con al suo interno tre sette: Palo Mayombe – prevalentemente magia nera , Briyumba – magia bianca, Kimbisa – la più antica) giunta dal Congo, e la seconda la società segreta Abakuá (ricreata dai membri dell’epke, leopardo in lingua efik) dalla zona nigeriana del Calabar, sviluppatasi a La Habana, Matanzas e Cárdenas.
Comunque è bene si sappia che , all’interno di una medesima famiglia, non tutti i componenti seguono queste pratiche religiose. Ma quella parte del popolo che lo fa generalmente rispetta, anche a costo di rinunzie personali, i parametri dettati dalla consuetudine generalizzata.
Si stabiliscono sedi di incontro e di aggregazione dove vengono raggiunti momenti “forti” di spiritismo che distolgono dalla vita quotidiana e portano ad una evasione fortificante per la persona.
Luoghi e cerimonie dove il ballo e la musica, nel sangue del popolo cubano, assumono un aspetto corale importantissimo, e le danze, diverse secondo l’orisha celebrato, hanno come tema portante i riti della “possessione” e del “trans”, e la rappresentazione per l’appunto delle vite e delle gesta delle varie divinità.
Luoghi e cerimonie dove non manca mai ron e cerveza e divisa e tabaco. La musica è quasi esclusivamente composta da basi ritmiche e melodie vocali in cui si alterna una voce dominante detta diana o gallo ed un coro. Gli  strumenti utilizzati principalmente sono tamburi chiamati batá (di tre tipi: iyá o madre, itótele quello di mezzo, okónkolo il più piccolo), dotati di valenza religiosa e custoditi gelosamente in una stanza “sacra” detta igbodú delle case-tempio dei santeros e dei babalaos.
Una nota finale mi pare doverosa: tra gli stranieri alcuni sono incuriositi e chiedono ausilio ai santeros per esigenze di salute, di buona riuscita nel lavoro  nel rapporto con la persona cara e con i figli, con esito spesso positivo.
Altri la praticano come nuova religione, stimolati anche dai frequenti ritorni a Cuba.
E chi volesse saperne di più, ebbene deve andare proprio sul posto: solo a Cuba potrà avere risposta limitatamente a certe domande, perché a tutte non è possibile. Lo capirete quando il santero o la santera vi sorrideranno mostrando i loro denti bianchissimi, volendo così significare che intendono custodire il segreto.




Prima stesura 2 maggio 1997 - Proprietà letteraria riservata

© by Roberto Dalzoppo